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Restare al tempo del nostro tempo

Nel 1913, tra tutti gli altri eventi oramai consegnati alla storia, accadde anche che il prestigioso premio Nobel per la letteratura venisse assegnato per la prima volta in assoluto a una personalità non occidentale. Andò infatti al poeta, drammaturgo, musicista e filosofo indiano Rabindranath Tagore con una motivazione che suonava più o meno così: «la profonda sensibilità, la freschezza e la bellezza dei versi con i quali, con consumata capacità, ha reso il proprio pensiero poetico, espresso in inglese con parole proprie, parte della letteratura occidentale». A parte il ruolo che intellettualmente, socialmente e spiritualmente quest’uomo ebbe nel definire il perimetro dell’India moderna, quel che mi piace evidenziare è quella dimensione di sospensione temporale che si avverte nel leggere le poesie di Tagore. Nei suoi versi si sente il tintinnare dei braccialetti ai polsi delle donne, si vedono i gesti delle persone che vanno ad attingere acqua al pozzo, si odono i passi stanchi del viandante che avanza sulla strada polverosa, si scoprono i nomi di alberi esotici o di fiori che vengono intrecciati in ghirlande profumate, si ascolta il fragore delle onde del mare mentre ci sembra di starcene su una spiaggia tra le tartarughe che si scaldano al sole. Nei versi di questo poeta che oltretutto fu amico di Ghandi come di Einstein, vivono in eterno momenti di un tempo quotidiano che rimane sospeso nell’armonia dell’ascolto delle voci della natura e di quelle del cuore.

Il significato di “tempo”

È proprio di Tagore una delle rappresentazioni a mio avviso più poetiche e al contempo più illuminanti della soggettività di quella convenzione che chiamiamo “tempo”. Di quella dimensione con la quale misuriamo il trascorrere degli accadimenti nostri e del mondo intero: “la farfalla non conta i mesi ma i momenti, e ha tempo a sufficienza”. Se per la farfalla nulla è cambiato, se non il contesto esterno sempre meno ospitale, di certo non possiamo dire lo stesso per noi umani. Attraverso lo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate, ci siamo trovati più o meno consapevolmente in una corsa che procede non sempre in maniera lineare e talvolta ci costringe a balzi in avanti difficili da compensare che rischiano di sfuggire al nostro controllo. Pensiamo agli algoritmi artificiali di cui negli ultimi anni c’è stata una enorme fioritura, per esempio. Che ne siamo coscienti o meno, la nostra vita, soprattutto nei paesi a più alto tasso di digitalizzazione, è condizionata e pervasa da essi. Sono gli algoritmi che ci propongono quale musica ascoltare, (Spotify, YouTube Music, iTunes ecc.), che ci suggeriscono quali film vedere (Netflix è certamente il caso più famoso), che ci indicano cosa acquistare, (pensa ai consigli commerciali di Amazon), e anche quali notizie leggere. Infatti, i vari servizi di intermediazione delle informazioni quali Facebook, Linkedin, Google News ecc., funzionano in base ad algoritmi che ci mettono in evidenza quelle che secondo loro sono le notizie più interessanti per noi.

Che ruolo ha la tecnologia?

Il notissimo storico e divulgatore israeliano Yuval Noah Harari, che ha all’attivo quasi 30 milioni di libri venduti in 60 lingue, è molto preoccupato che biotecnologia e infotech possano decifrare i processi biochimici che innescano i nostri pensieri e le nostre emozioni, e creare algoritmi sofisticati al punto di conoscerci meglio di quanto noi stessi possiamo fare. La preoccupazione dipende dal fatto che le persone che stanno portando avanti questa ricerca, questa rivoluzione digitale, sono sì ingegneri geniali ma non è detto che abbiano le competenze per capire appieno l’impatto politico filosofico e sociale di quello che fanno, la qual cosa non è certo un dettaglio trascurabile visto che quello che fanno riprogetta uomini e società. Tutto, dunque, tende ad accelerare intorno a noi, cancellando ogni punto di riferimento, ogni regola, ogni valore, ogni sicurezza, rinnegando architetture sociali e ideologiche secolari. E laddove alcuni ne valutano potenzialità ed effetti, altri, che sono la parte maggiore, invece restano immobili, distratti e anestetizzati dal consumo di massa del sogno dorato di celebrità e ricchezza da conquistare sui social.

I mezzi per cambiare, li abbiamo noi

Eppure, siamo molto fortunati. Forse i più fortunati nella storia della nostra specie. Come organizzazioni sociali e come singoli individui non abbiamo mai avuto così tanti mezzi  a disposizione per contribuire  a cambiare la rotta. A partire dalla tecnologia stessa. Dunque, se le cose globalmente non vanno, la responsabilità è nostra. Un aspetto enormemente sottovalutato in questi ultimi mesi è l’ulteriore accelerazione che le misure per sopravvivere alla pandemia hanno impresso ai processi di digitalizzazione che già andavano a velocità supersonica. Un esempio su tutti, quanti di noi usavano Teams o Zoom per le proprie riunioni o per i meeting o per le semplici comunicazioni familiari? Questi strumenti sono entrati velocemente nelle nostre abitudini quotidiane e sono stati recepiti come soluzioni salvifiche, tuttavia pochi si sono chiesti se contemporaneamente sia stato sviluppato un piano per la tutela della privacy del lavoratore e per i suoi diritti, per esempio, alla disconnessione.

Detto questo, siccome non c’è alternativa al futuro, dobbiamo cercare almeno di stare al tempo del nostro tempo. Come? Rimettendo l’essere umano al centro di tutti i sistemi. Dobbiamo partire  da noi stessi, da un aumento della consapevolezza che siamo parte attiva e integrante dell’insieme e non possiamo pensare e agire da individualisti come se ciò non producesse impatti sul Tutto. È un vero viaggio quello che siamo chiamati a fare, e si sa che quando parliamo di viaggio dobbiamo essere consapevoli che esso non inizia mai dal punto 1. Inizia sempre dal punto 0. Il punto 0 è il luogo, l’origine del tutto. Per essere pronti a un nuovo inizio, un nuovo momento 0, non è necessario creare nient’altro, ma semplicemente riscoprire la creazione preesistente a noi. Sono convinto che il tempo in cui stiamo vivendo sia proprio quello giusto per una riscoperta dell’umanità che sia una rinascita, una nuova nascita. Un momento 0.0 è dove il punto tra i due zeri è il punto in cui l’Io si specchia sia verso l’interno, verso di Sé, sia verso l’esterno, cioè verso la vita, le cose, gli altri. Un viaggio alla ricerca di questa dimensione puntozero è un ritorno, con la mente e con il cuore, al principio, a una condizione originaria che ci permetta di focalizzarci sulle domande autentiche, e di riflettere sulle risposte.

La risposta è nella gratitudine

Chi sono io? Chi siamo noi? Come possiamo riappropriarci della consapevolezza di essere il popolo di questo Pianeta? Il Cantico delle creature, di San Francesco d’Assisi, che ha dato inizio alla storia della letteratura italiana, è stato scritto dopo una notte di dolore terribile. Il giorno precedente Francesco si era sottoposto alla cauterizzazione di una tempia per combattere un’infezione batterica della cornea. La gratitudine dopo la sofferenza ha prodotto questo inno immortale e magnifico. Secondo il filosofo Omraam Mikhaël Aïvanhov, “se impari a ringraziare, entri nell’emozione della gratitudine e questo, inevitabilmente ti permetterà di entrare in risonanza con esse. La tua emissione di gratitudine farà in modo che si accenda nelle persone che incontri quel barlume di gratitudine ogni volta che ti incontrano e questo farà in modo che tu riceva continuamente qualcosa per cui essere grato”. In parole semplici, l’unico modo per vivere un’esistenza piena è provare gratitudine per ciò che siamo e impegnarci a generarla negli altri. La gratitudine, nella sua essenza, genera nell’uomo la capacità di mettere a fuoco ciò che vale davvero, di ignorare le cose futili e, più in generale, i bisogni superflui. Un essere umano colmo di gratitudine può seminare negli altri la visione  di un nuovo senso della vita, di un nuovo senso di sé stesso nella vita. Non dobbiamo certo pretendere di essere la miglior persona al mondo, ma dobbiamo cogliere l’importanza di sforzarci di essere la miglior persona possibile per-il-mondo.

Vorrei con queste riflessioni suscitare l’interesse a sentirci ed essere grati per ogni attimo trascorso su questa Terra. A provare gratitudine verso noi stessi e verso gli altri. Ogni attimo è un dono, un’opportunità per fare del bene e farlo bene, per fare della propria vita un dono e fare di questo dono qualcosa di significativo per l’insieme.

 

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