“È tutto sbagliato. Io non dovrei essere qui. Dovrei essere a scuola dall’altra parte dell’oceano. Eppure, venite tutti da me per avere speranza? Come osate! Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote. Ciò nonostante, io sono una delle più fortunate. C’è gente che soffre. C’è gente che sta morendo. Interi ecosistemi stanno collassando. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa. E voi non siete capaci di parlare d’altro che di soldi e di favoleggiare un’eterna crescita economica. Come osate!”.
Lo ricordate? È il discorso di Greta Thunberg all’ONU.
Sembra passato un secolo, eppure risale solo all’autunno dell’anno scorso. Di quel 2019 così lontano dal nostro presente e così focalizzato su argomenti fondamentali che purtroppo il nostro presente ha relegato a un ruolo di secondo piano, su uno sfondo che rischia di impallidire e sfocarsi verso un veloce quanto probabile oblio. Eppure, quel discorso e quell’argomento erano stati capaci di dare una sonora scossa ai media internazionali. A soli sedici anni Greta era stata capace di guardare in faccia i più potenti politici al mondo e a riversare loro addosso le preoccupazioni di una generazione terrorizzata da un futuro segnato dal disastro climatico, ma che non voleva arrendersi. Successe quindi che, nel presentare la nuova Commissione europea da lei presieduta, Ursula von der Leyen abbia dichiarato di ritenere inderogabile la necessità di affrontare i cambiamenti climatici insieme a quelli tecnologici e demografici che appunto stanno trasformando le nostre società, e che abbia ribadito l’impegno affinché fosse l’Unione Europea a guidare la transizione: “Voglio che il Green new deal europeo diventi l’elemento distintivo dell’Europa […] il nostro impegno a diventare il primo continente al mondo a impatto climatico zero. Si tratta anche di un imperativo economico a lungo termine: chi saprà agire per primo e più rapidamente sarà in grado di cogliere le opportunità offerte dalla transizione ecologica. Voglio che l’Europa sia all’avanguardia. Voglio un’Europa esportatrice di conoscenze, tecnologie e buone pratiche”, ebbe a dichiarare. Pochi giorni dopo, durante le dichiarazioni programmatiche alla Camera, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte indicava nel Green new deal una delle priorità fondamentali del nuovo Governo, dimostrando dunque che tra i leader politici vi fosse una maggiore consapevolezza dell’urgenza di una svolta. Con le loro mobilitazioni globali i ragazzi del climate strike ce la stavano mettendo tutta per tenerci sull’attenti. Non dovremmo scordare così in fretta la potenza di quel momento perché il riscaldamento globale incombe sempre più minaccioso anche adesso. Anzi, tanto più adesso che non ce ne stiamo occupando perché siamo preoccupati e indaffarati a gestire un’altra emergenza, questa volta imprevista, che dal settore sanitario si è allargata sino a comprendere l’intera società, i suoi assetti, le sue prospettive evolutive e la sua economia.
Un tema da non trascurare
Perché non dovremmo commettere l’errore di trascurare questo tema? Per darci una risposta basterebbe una breve occhiata allo studio intitolato “Existential Climate – Related Security Risk: A Scenario Approach” presentato all’ultimo World Circular Economy Forum, il forum mondiale sull’economia circolare che si è svolto a Helsinki l’anno scorso. Secondo gli autori di questo studio, il cambiamento climatico potrebbe produrre i suoi effetti più gravi con probabilità ancora maggiori rispetto a quanto convenzionalmente siamo disposti ad accettare. Questo dipende dall’eccessiva prudenza degli scienziati che a volte può portare a sottovalutare gli scenari futuri in virtù del fatto che la loro policy scientifica, cioè il loro metodo, aderisce a molte regole e norme votate alla moderazione, all’obiettività e allo scetticismo. Per esempio, uno studio del 2007 ha provato che nei due decenni precedenti, le previsioni scientifiche avevano costantemente sottostimato la gravità della situazione. Se l’attuale trend proseguirà inalterato i sistemi e gli assetti naturali, sociali, politici e umani raggiungeranno il punto di non ritorno entro la metà del nostro secolo. E che dire del modo in cui stiamo gestendo le risorse della Terra? Se andiamo a cercare il grafico più aggiornato che rappresenti la progressione dell’Overshoot day, cioè quel giorno sul calendario in cui l’umanità ha consumato tutte le risorse prodotte dal pianeta in un anno, possiamo vedere che, se negli anni ‘70 riuscivamo a completare un anno intero senza ricorrere alle “riserve”, già nel 2004 non andavamo oltre settembre, e nel giro di quindici anni siamo arrivati al 29 luglio. Stiamo spremendo il nostro pianeta. Non c’è solo l’attuale momento contingente, ci sono anche inondazioni, siccità e innalzamento dei mari per i quali la Terra ci sta presentando il conto. Lo sta presentando a tutti, poiché tutti stiamo contribuendo a questo sfacelo. Eppure, anche se la situazione è grave, le risorse a nostra disposizione per trovare risposte non sono mai state così efficaci, e l’urgenza di tutti gli attuali problemi ci può far trovare la forza di sfruttarle in tutto il loro potenziale.
Cosa cambiare?
Un certo ambientalismo, sempre più diffuso ritiene che i cambiamenti climatici siano una conseguenza diretta dell’essenza umana, caratterizzata da un’avidità e da una ferocia primordiali e cieche di fronte alla scarsità di risorse e di fronte agli effetti dell’economia dei consumi in termini di inquinamento e riscaldamento globale. In questi discorsi l’uomo viene spesso rappresentato come una forza sinistra e distruttrice. C’è una parte di verità: i nostri stili di vita devono sicuramente cambiare. Ma questa impostazione non arriva a comprendere che ripartire dall’uomo è la nostra migliore speranza. Affinché i riflettori non si spengano dobbiamo assumerci tutte le nostre responsabilità consapevoli che l’economia circolare non basta: occorre un’altra dimensione, quella della persona, che dovrà essere al centro di tutto. Sono convinto che per risolvere le difficili circostanze in cui l’intera umanità versa, aggravate anche da questo fattore invisibile che dobbiamo imparare a conoscere e dal quale scientificamente ci dobbiamo proteggere, serva una ri-evoluzione delle coscienze che generi una ri-evoluzione dei comportamenti, individuali e sociali, che portino a una ri-evoluzione globale.
Tanto dai, tanto ricevi
Secondo il filosofo bulgaro Omraam Mikhaël Aïvanhov, “Se impari a ringraziare, entri nell’emozione della gratitudine e questo, inevitabilmente ti permetterà di entrare in risonanza con la gratitudine. La tua emissione di gratitudine farà in modo che si “accenda” nelle persone che incontri quel barlume di gratitudine ogni volta che ti incontrano e questo farà in modo che tu riceva continuamente qualcosa per cui essere grato”. E cos’altro ci hanno insegnato questi ultimi mesi se non scoprire questa straordinaria capacità di provare gratitudine? Abbiamo imparato forzatamente a capire che la nostra salute, le nostre prospettive, il nostro futuro e la nostra vita stessa, dipendono dall’altro, dai comportamenti degli altri. Allo stesso modo gli altri dipendono da noi, dai nostri comportamenti. Siamo stati chiamati alla responsabilità sociale e l’esercizio con cui abbiamo completato questo nostro apprendimento è stato chiamato distanziamento sociale. E cosa altro è se non la rappresentazione plastica delle infinite interconnessioni visibili e invisibili che reggono e sottintendono l’esistenza tutta? “Tanto dai, tanto ricevi”: una regola di vita banale di cui, però, troppo spesso ci siamo dimenticati. Se n’è dimenticata l’umanità intera, verrebbe da dire, un’amnesia collettiva che ci ha portati alla necessità di ripensare il nostro modello economico e sociale. Alla fine dei conti davanti al caro prezzo che stiamo pagando, avremo capito che l’unico modo per vivere pienamente è provare gratitudine per ciò che siamo e impegnarci a generarla negli altri? La gratitudine, nella sua essenza, genera nell’uomo la capacità di mettere a fuoco ciò che vale davvero, di ignorare le cose futili e, più in generale, i bisogni superflui. Un essere umano colmo di gratitudine può seminare negli altri la visione di un nuovo senso della vita, di un nuovo senso di sé stesso nella vita. Non bisogna certo pretendere di essere la miglior persona al mondo, l’importante è sforzarsi di essere la miglior persona possibile per-il-mondo. Il nostro tempo richiede invece che ogni singolo individuo e ogni singola impresa si assumano la responsabilità di voltare pagina, di esercitare nella propria “sfera di influenza” tutto il potere di cui dispongono per stimolare il cambiamento e guidare le altre persone. Come? Seguimi e lo vedremo insieme.
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